Buongiorno a tutti. Benvenuti a questa nuova e spero interessante e ricca sezione del blog dedicata alla mia presentazione sui libri di fotografia o di arte che mi passano per le mani. In realtà ne ho diversi, tra libri e riviste. Ed è forse per questo motivo che voglio provare a creare questa sezione dedicata ai libri.
O forse mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo di “copiare” Matt Stuart e il suo straordinario account Instagram (di cui vi parlo qua).
In ogni caso, che si dia inizio alle danze.
E, per questa prima recensione, la musica su cui danzare l’ha scritta un fotografo giapponese, Nobuyoshi Araki, con il suo libro Tokio lucky hole. Un libro decisamente coraggioso, a partire dalla copertina che ritrae una prostituta completamente nuda con la vagina coperta da un bollino rosso. Vi siete scandalizzati per la parola vagina? Allora vi conviene smettere di leggere e passare a qualcos’altro.
Se invece la parola vagina non vi scandalizza continuate pure a leggere.
Sia ben chiaro sin da subito, questo non è un libro pornografico, a meno che per voi la pornografia non sia semplicemente l’esposizione dei genitali. Se così fosse, ancora una volta vi invito a leggere altro.
Bene, se siete ancora qua proseguiamo e iniziamo a scendere più nei dettagli di questo libro.
E vorrei iniziare citando una frase del suo autore, che mi pare particolarmente esplicativa del suo pensiero
“Without obscenity, our cities are dreary places and life is bleak”
(Senza oscenità, le nostre città sono noiose e la vita è triste)
Direi che è ben chiaro ed esplicativo no?
Ok, andiamo avanti.
Aprendo il libro (la mia versione ha i testi in inglese, tedesco e francese, per cui devo tradurre qualche parte), nella parte interna della sovracopertina c’è una breve descrizione di quanto andremo a vedere all’interno e una breve introduzione su Araki.
Questa introduzione ci dice che Araki è il fotografo giapponese contemporaneo più famoso e audace, che era un assiduo frequentatore, nel suo tempo libero, dei sex club della città di Tokio. Locali che offrivano ai frequentatori, perlopiù coloro che devono passare da un treno all’altro per rientrare a casa dopo il lavoro a quanti hanno fantasie erotiche le più disparate.
Araki dedica a questo mondo un reportage che si concluderà nel febbraio del 1985 a seguito di una nuova legge che regola queste attività.
Il risultato è un lavoro composto da oltre ottocento fotografie da cui sono state selezionate quelle che compongono questo libro. A proposito, il libro è edito dalla Taschen, una casa editrice rinomata per la qualità della sua proposta e per essere orientata alla fotografia e all’arte. E’ della Taschen il mega libro dedicato al lavoro di uno dei più grandi fotografi della storia, Helmut Newton, di cui vi parlerò in futuro (non potrei mai esimermi dal farlo, anche se il solo pensiero mi fa tremare i polsi).
Continuiamo l’analisi del libro. Nota curiosa. Mentre scrivo queste righe sono seduto ai tavolini all’aperto di un bar da cui posso accedere alla connessione internet offerta dal comune di Cagliari, posto ideale per chi, come me ama lavorare all’aperto e, nel mentre, fare un piccolo spuntino. Certo, stare all’aperto mentre si lavora su un libro del genere porta gli avventori della zona a guardarti storto. Chissà, mi avranno preso per un depravato che si guarda le cose pornografiche all’aperto. Vabbè, who cares, come dicono i britannici.
Ma come nasce questo progetto fotografico? Come detto Araki è lui stesso un frequentatore dei sex clubs di Tokio, in particolare quelli situati nella zona di Kabuki-cho a Shinjuku e in questo suo girovagare è accompagnato da Akira Suei, capo redattore della rivista mensile Photo Age, una rivista in cui i lavori di Araki trovavano spesso spazio, essendo la rivista dedicata a un interessante mix di erotismo e arte ma mentre l’erotismo viene visto come qualcosa di sbagliato e volgare, l’arte è ovviamente vista come qualcosa di piacevole, di importante, di culturale. Ma entrambe le cose sono due facce della medaglia della continua ricerca dell’essere umano del piacere anche se in questa ricerca dovesse imbattersi in qualche forma di “perversione”. Araki dunque fotografa non solo i luoghi, gli interni dei locali durante lo svolgimento degli spettacoli (a cui a volte prende parte e si fa fotografare), ma anche e soprattutto alle donne che in questi locali lavorano. E le fotografa sia durante il lavoro, sia al di fuori dei locali.
In quel periodo, parliamo dell’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, l’ “industria del sesso” era molto in voga. Club ad esso dedicato erano fiorenti e spesso addirittura pubblicizzati in televisione.
Coloro i quali lavoravano in questo mondo lo facevano con dedizione. Per alcuni, questo lavoro, era equiparabile al fare arte.
Araki e Suei erano attratti da questo mondo di lussuria e di ostentato edonismo che spesso andava oltre il normale atto sessuale, sfociando nel nonsense.
Le foto pubblicate in questo libro, oltre a trovare spazio sulla rivista Photo Age, furono anche pubblicate dalla rivista “The truth behind the gossip”.
Come ha sottolineato lo stesso Suei, le donne che lavoravano ora in questo settore si differivano da quelle che le avevano precedute perchè non erano delle professioniste ma donne comuni, non gravate da un passato fatto di povertà. Esse si mostrano per come sono, senza alcun segno di imbarazzo o colpevolezza in ciò che fanno. Anzi si sentivano particolarmente coinvolte.
In tutto questo le fotografie di Araki erano un corollario. Lui stesso partecipa attivamente a questi spettacoli, ci mette la faccia facendosi fotografare mentre partecipa alle performances delle lavoratrici. E lo faceva ben sapendo di essere riconoscibile e non scambiato per uno dei tanti anonimi avventori di questi locali.
In un certo senso, questo reportage, altro non è che una documentazione storica e sociale del sesso e della morale agli inizi degli anni ’80. Può pertanto essere considerato un reportage sulla morale urbana contemporanea.
Araki è ben consapevole del dibattito sull’oggettività che un reportage doveva possedere per essere considerato autorevole. Ed è in questo dibattito che si può inserire questo lavoro.
Le persone fotografate sono ben consapevoli di esserlo e anzi, in alcuni casi (non rari) esse erano fotografate in situazioni costruite ad hoc. In taluni casi è lo stesso Araki a comportarsi quasi come un regista nella costruzione delle scene.
Araki del resto non era nuovo a questa metodologia di lavoro. In un suo precedente lavoro, pubblicato dalla rivista Byakuya-shobo, ci mostra un evento in cui sembra essere capitato per caso. E’ solo con l’attenta analisi dell’evolversi del servizio che ci si renda conto di quanto questo sia stato scrupolosamente costruito.
Con questo comportamento Araki ci mostra come le fotografie non possano essere neutrali o trasparenti. Araki dunque demolisce la presunta neutralità del fotogiornalista.
Ma ritorniamo al nostro libro.
Anche quando Araki fotografa le scene di sesso, le foto ci mostrano un senso di distanza e di rispetto nei confronti dei soggetti. Non troveremo mai, pertanto, un senso di morbosità nel riportare i vizi nascosti della società. Anzi, troverete una sorta di complicità tra il fotografo e i soggetti fotografati.
Araki non mostra nè simpatia nè approvazione per i soggetti e di certo, con questo lavoro, non vuole esprimere un giudizio su ciò che vede.
Araki paragona la fotografia all’atto sessuale e la sua macchina fotografica a un pene, ma quando fotografa le donne lo fa con rispetto e riguardo nei loro confronti. Il suo sguardo vuole comprendere il loro comportamento, la loro ricerca del piacere, ma lo fa come se fosse esso stesso una donna.
Araki assorbe le scene che gli si presentano davanti e le vacue relazioni che si creano tra i soggetti coinvolti senza mai alterarle. Come detto, i soggetti sanno di essere fotografati ma la sensibilità di Araki lo rende invisibile ai loro occhi non andando quindi a inficiare sui comportamenti dei soggetti ritratti.
E tutto questa spontaneità, questo coinvolgimento dello stesso Araki si percepisce chiaramente guardando le foto che compongono questo libro.
Di cui andiamo a vedere una breve selezione.
Bene. Si conclude questa prima presentazione di un libro spesso considerato “oltraggioso” e di cui mi è stata bannata la copertina quando ho provato a pubblicarla sul mio profilo Instagram come faccio sempre quando prendo un nuovo libro.
Spero che apprezzerete questa nuova sezione che, pian piano verrà riempita di libri che man mano compro e custodisco gelosamente nella mia libreria che, spero un giorno, diventi veramente imponente.
A presto!
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