Ciao a tutti e benvenuti a questa ventottesima Pillola di Fotografia.
Che oggi voglio dedicare a una grandissima Fotografa, morta troppo giovane, all’età di 22 anni, ma il cui lascito fotografico ha un’importanza enorme nella Fotografia.
Lei è Francesca Woodman.
Francesca Woodman nasce a Denver nel 1958 da una famiglia di artisti. La madre, Betty, è una ceramista mentre il padre, George è un pittore. Ed è proprio il padre che regala a Francesca una macchina fotografica che non utilizzava.
Francesca aveva 13 anni. Ed è proprio al 1972 che risale il suo primo autoritratto, realizzato utilizzando un cavo per lo scatto remoto in cui lei si ritrae coprendosi il viso con i capelli.
Francesca e la sua famiglia erano soliti trascorrere le estati in Toscana, ad Antella. Ed è sicuramente tra i musei fiorentini che Francesca inizia a trarre ispirazione per quello che sarà il suo lavoro.
Ispirazione che Francesca trarrà anche dal suo soggiorno a Roma dove frequenta per un anno il College e dove frequenterà la libreria e galleria Maldoror, che all’epoca esponeva testi e opere avanguardiste e surrealiste.
Nel 1975 fa ritorno negli Stati Uniti dove si iscrive, e si laurea, al Rhode Island School of Design. Dopo la laurea si trasferirà a New York.
Quando si trasferisce nella Grande Mela, Francesca ha già portato notevolmente avanti il suo lavoro, in cui era riconoscibile il suo stile fatto da un bianco e nero molto morbido, lunghe esposizioni e talvolta sovraesposizioni del negativo. Il tutto sempre rinchiuso nel formato quadrato.
I temi che Francesca esploreva con il suo lavoro erano relativi all’esplorazione del corpo, spesso e volentieri il suo, e i suoi cambiamenti, e il rapporto tra questi e lo spazio. Esplorava così la questione dell’identità, delle relazioni e della sessualità, dell’alienazione e dell’isolamento.
L’esplorazione del proprio corpo nell’età dei cambiamenti e della maturazione la portano a ritrarsi spesso nuda, senza quasi mai renderlo completamente visibile, facendolo interagire con gli elementi dell’ambiente in cui realizzava le sue fotografie, ovvero mobili, carta da parati strappata, piante e specchi.
Ma le opere di Francesca Woodman non trovarono mai, finché era in vita, il riscontro e l’apprezzamento che lei sperava.
A New York, per mantenersi, doveva svolgere molteplici lavori quali, tra gli altri, segretaria, assistente di altri fotografi o modella.
Contemporaneamente inviava il proprio lavoro a riviste di moda o a gallerie. Ma lei ambiva al riconoscimento del proprio lavoro e a poter vivere grazie alle sue opere.
Ma la New York degli anni settanta era un mondo competitivo e i riconoscimenti non arrivavano.
Per questo motivo, unito al fatto che, durante gli anni degli studi i suoi lavori erano unanimamente acclamati, Francesca Woodman cadde lentamente in depressione e tentò il suicidio una prima volta nel 1980.
Ma il colpo di grazia arrivò quando la National Endowment for the Arts rifiutò la sua richiesta di fondi.
Ritentò il suicidio, stavolta con successo, lanciandosi da un palazzo. Era il gennaio del 1981. Aveva 22 anni.
Come scrisse a una sua ex compagna di corso “Avevo degli standard. E la mia vita, giunta a questo punto, è come un vecchio fondo di caffè, e preferirei morire giovane, lasciando una serie di opere riuscite, dei lavori, la mia amicizia con te e con altre…intatti invece che lasciare che queste cose delicate svaniscano”.
Francesca, pur nel suo breve periodo di attività, durato appena otto anni, fu molto prolifica e lasciò centomila negativi e ottocento stampe.
Come quasi sempre succede in questi casi, il suo lavoro ottenne un riconoscimento postumo. Da lì a poco il Wellesley College Museum organizzò una mostra con i suoi lavori, che poi iniziò a girare per gli Stati Uniti e arrivare in Europa nei primi anni ‘90.
Con i suoi autoscatti e la sua ricerca ossessiva del sé, Francesca Woodman è riuscita comunque a lasciare un’impronta nel mondo della Fotografia.
Bene, anche per oggi si conclude questa Pillola.
Alla prossima.
Ciao!
Hits: 50