Ciao a tutti ed eccoci giunti a questa ventunesima Pillola di Fotografia.
Devo essere assolutamente sincero, ci sono giorni in cui ho ben chiaro quale sarà la fotografia che andrà a corredare la Pillola, altri giorni invece sono combattuto.
Questo è uno dei giorni che rientra nella seconda casistica. E il motivo è molto semplice. Volevo dedicare questa Pillola a uno dei più grandi Fotografi del mondo. Un Fotografo che, col suo lavoro, nel corso dei decenni ci ha portato a conoscere varie realtà in giro per il mondo.
Sue sono, ad esempio, le foto, straordinarie e terribili, dei profughi del Ruanda costretti nei campi di “accoglienza” in Tanzania durante la ferocissima e sanguinosa guerra civile che colpì quella zona d’Africa (e che per inciso venne poco raccontata dai mass-media italiani).
Ha documentato il durissimo lavoro che il team internazionale di vigili del fuoco che si occuparono di spegnere gli incendi che gli iracheni appiccarono nelle varie raffinerie di petrolio durante la prima del Golfo quando l’Iraq invase il Kuwait. L’esercito iracheno di Saddam Hussein, ormai palesemente sconfitto trovò questo sistema per rallentare l’avanzata militare delle forze occidentali, dall’altra per infliggere un gravissimo danno all’economia mondiale dando fuoco alle ricchissime riserve petrolifere di quella zona del mondo.
Ha documentato l’Africa in lungo e in largo, vari paesi e popolazioni dell’Asia.
E ha ovviamente dedicato moltissimo del suo lavoro alla sua Terra Natia, il Brasile.
Avrete capito ormai che sto parlando di Sebastiao Salgado. Ed avrete capito perché pescare una singola foto dal suo sterminato archivio è un lavoro quantomeno improbo. Ed ecco perché ci saranno sicuramente altre Pillole a lui dedicate.
Come detto, Salgado ha documentato l’immane tragedia umana dei ruandesi costretti a fuggire dalle loro terre per sfuggire alla pulizia etnica per rifugiarsi in un paese straniero, la Tanzania, appunto.
Un reportage, racconta lo stesso Salgado, iniziato in un giorno in cui un tragico incidente spense la vita di Ayrton Senna, pilota brasiliano amatissimo non solo da Salgado e dai brasiliani, ma anche dagli appassionati di Formula 1 di tutto il mondo.
Ma la foto della Pillola di oggi, ci racconta un altra tragedia umana.
La foto si intitola “Miniera d’oro a cielo aperto. Serra Pelada, stato del Parà. Brasile” e scattata nel 1986, ovvero ben otto anni prima del reportage in Ruanda.
L’immagine, tratta dal reportage che il fotografo realizzò in quella miniera, finirà in uno straordinario libro edito da Taschen e intitolato Gold.
Ma vediamo di dare un contesto storico. Nel 1979, un agricoltore trovò nelle acque che passavano nelle sue terre dell’oro. Consultò un geologo per capire se sotto quelle terre si poteva nascondere un tesoro. Di lì a poco tempo la Serra Pelada divenne una delle più grandi miniere a cielo aperto del mondo.
Ovviamente venne presa d’assalto da tutti gli avventurieri e cercatori d’oro del mondo che, superate le difficoltà iniziali per raggiungere quel luogo impervio, installarono un campo dove immediatamente partì lo sfruttamento degli abitanti del luogo, povera gente che, come accadde ai tempi della ricerca dell’oro negli Stati Uniti nel XIX secolo, cercava di accapparrare quanto più possibile per sfuggire alla povertà. Ma furono i grandi avventurieri che si arricchirono con l’estrazione dell’oro mentre gli indigeni venivano sfruttati per l’estrazione del prezioso metallo e per il trasporto dal fondo della miniera sino al campo. La miniera era arrivata ad avere una profondità di 200 metri e i lavoratori, che nel massimo periodo di estrazione, arrivarono ad essere anche centomila, dovevano percorrere più volte al giorno quel percorso pericolosissimo su delle ripide e instabili scale di corda, trasportando sulle spalle sacchi che potevano arrivare a pesare fino a sessanta chili.
Salgado riuscì ad arrivare là solo nel 1986 quando ricevette, dopo anni di richieste, l’autorizzazione dalle autorità locali. E la scena che gli si parò davanti agli occhi era straordinaria e tragica.
Salgado definì così la scena: “Tutti i peli del mio corpo erano dritti. Le piramidi, la storia dell’umanità si è rivelata. Avevo viaggiato fino all’alba del tempo.”.
Ed in effetti, a guardare questa immagine si rimane sbalorditi. Sembra quasi l’illustrazione di un girone dell’Inferno dantesco. Si può percepire la fatica, il rischio, persino il sudore che imperlava i corpi seminudi dei raccoglitori d’oro.
Nessuno meglio di lui è riuscito a descrivere la realtà di Serra Pelada, e anche ciò che si celava dietro quella realtà:
“Trascinati dai venti che portano un accenno di fortuna, gli uomini vengono nella miniera d’oro di Serra Pelada. Nessuno viene portato lì con la forza, ma una volta arrivati, tutti diventano schiavi del sogno dell’oro e della necessità di rimanere in vita. Una volta dentro, diventa impossibile andarsene”
Salgado, come sempre, scattò le fotografie in bianco e nero sebbene ormai anche il colore faceva ampiamente parte della narrazione fotogiornalistica delle riviste.
Quando le fotografie della Serra Pelada di Salgado arrivarono al New York Times Magazine, accadde qualcosa di straordinario: il silenzio totale. “In tutta la mia carriera al New York Times” ricorda il photo editor Peter Howe, “non ho mai visto i redattori reagire in quel modo a nessun altro servizio fotografico”.
Il lavoro di Salgado aveva un aspetto quasi biblico.
Ebbene, anche oggi la Pillola è piuttosto lunga da leggere ma non era proprio possibile farla più corta, anzi.
Ed è proprio per questo motivo che vi invito ad approfondire il lavoro di questo grandissimo Fotografo.
Per ora è tutto. Alla prossima Pillola.
Ciao!
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